Accademia degli Industriosi

L’Accademia degli Industriosi di Gangi venne fondata dal barone Francesco Benedetto Bongiorno, che ne fu anche il protettore locale e il mecenate. Alla sua morte, avvenuta nel 1767, tale ruolo fu svolto dal fratello Gandolfo Felice. “Riconosceva la sua protezione dal sovrano Padrocinio dello Spirito Santo e della sua Santissima Sposa Maria Vergine Assunta in Cielo”. In base alle Leggi dell’Accademia, oltre ai due “Protettori Celesti” e al protettore locale (Francesco Benedetto Bongiorno e, alla sua morte, Gandolfo Felice Bongiorno), doveva esserci anche un mecenate e protettore “forestiero”. Il primo “mecenate forestiero” fu Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso (nel messinese), arcivescovo di Messina e Patriarca di Gerusalemme, fratello maggiore del principe di Calvaruso assai attivo a Napoli presso la corte reale e nel circuito del principe di San Severo Raimondo de’ Sangro. Alla sua morte, gli subentrò Gabriello Maria Di Blasi, anche lui arcivescovo di Messina, benedettino e fra i maggiori esponenti del giansenismo siciliano. Alla morte di quest’ultimo, divenne mecenate un non meglio identificato “Monsignor N.N.”.

Dal Cinquecento al Settecento, a Gangi fiorirono diverse accademie. L’Accademia degli Industriosi nacque, intorno al 1756, dalla trasformazione di una preesistente “Accademia degli Sprovveduti”, fondata nel 1748. Avvenuta la trasformazione (vennero cambiati il nome e l’ “Impresa”), in breve tempo divenne “Seconda Colonia” dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto e, tra il 1771 e il 1772, Colonia Arcadia. Fu anche ben collegata all’Accademia degli Ereini di Palermo. Come scrive Corrado Viola, l’Arcadia va liberata da un invalso cliché riduttivo, che rimonta alla cultura risorgimentale (si pensi a De Sanctis), ma che già Benedetto Croce e poi Mario Fubini hanno provveduto a liquidare: il cliché deteriore delle pastorellerie e dell’idillismo bucolico. Sotto la superficie dei riti pastorali che si celebravano nell’arcadico Bosco Parrasio, a monte di una liturgia accademica che è parsa vuota e risibile, si deve scorgere qualcosa di più serio: una strategia di aggregazione e di autoidentificazione, che il ceto intellettuale italiano mise in atto, allora, per istituzionalizzare una rete di rapporti, e per rispondere a un’esigenza intensamente avvertita di visibilità. Presso l’Arcadia si praticava anche l’alchimia.

Le riunioni dell’Accademia degli Industriosi avevano luogo due volte al mese a Palazzo Bongiorno, fatto appositamente affrescare dal barone Francesco Benedetto Bongiorno, che ne era il proprietario, ed i lavori venivano in seguito pubblicati. Una terza volta ogni mese, gli accademici si riunivano per discutere di argomenti di teologia morale. Il “Principe” (presidente) veniva eletto ogni due anni. Quello uscente e il nuovo eletto nominavano due “Censori”, il “Secretario” e il “Pro-Secretario” (vice segretario). Di comune accordo, tali “Ufficiali” sceglievano i due “Protettori”, quello “locale” (che fu Francesco Benedetto Bongiorno, fino alla sua morte) e quello “forestiero”.

L’accademia pubblicò sette opere a stampa. Un primo volume di componimenti poetici nel 1758, in lode di Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso; un secondo nel 1762, sempre in lode di Moncada; un terzo nel 1764, in lode di Gabriello Maria Di Blasi; ”Rime degli Accademici Industriosi” nel 1769, a cura di Gandolfo Felice Bongiorno, per celebrare la morte del fratello, il barone Francesco Benedetto; un quinto volume nel 1775 per la nascita del “Reale Infante Principe ereditario delle Due Sicilie”; un sesto, nel 1777, in lode di Giuseppe Bologna marchese della Sambuca, primo segretario di stato del regno di Napoli e di Sicilia e, sempre nel 1777, una raccolta di “Epitalamj”.

Come scrive anche Davide Comunale, l’ Accademia degli Industriosi di Gangi era «un circolo massonico che reclutava adepti tra le famiglie nobili per la propaganda del pensiero libero e degli ideali giansenisti». Tra gli accademici, più di 130 e tutti maschi, oltre ai nomi di Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso, di Gabriello Maria Di Blasi e dei suoi due fratelli, anche loro giansenisti, Giovanni Evangelista e Salvadore Maria, compaiono i nomi del sacerdote palermitano giansenista Francesco Carì (assai attivo nell’Accademia degli Agricoltori Oretei di Palermo), del principe catanese di Biscari Ignazio Paternò (fondatore dell’Accademia dei Pastori Etnei, o Accademia Etnea), del sacerdote catanese giansenista Raimondo Platania, del canonico della Cattedrale di Palermo, nonché Direttore dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto, Domenico Schiavo, del religioso catanese Vito Amico (rinomato storico e letterato), del regio storiografo Arcangelo Leanti (anche lui Agricoltore Oreteo), di Antonino Sandoval duca di Sinagra, de’ principi di Castel Reale (assai attivo all’interno dell’Accademia degli Ereini), e del gangitano Giuseppe Fedele Vitale, segretario dell’accademia, abate, medico e autore della Sicilia Liberata. Fu grazie a lui che, tra la fine del 1771 e l’inizio del 1772, l’Accademia degli Industriosi di Gangi divenne Colonia Enguina dell’Arcadia.

Il regio storiografo Domenico Scinà, nei primissimi anni del XIX secolo, seppur criticandolo severamente, collocò il Vitale subito dopo Giovanni Meli e prima di Domenico Tempio.